Alessandro
il Grande giunse in Egitto nel 332 a.C. e, dopo aver conquistato rapidamente
il paese, fondò la nuova città ad ovest del delta del Nilo, su una striscia di terreno
sabbioso, che separa la palude Mareotide
dal Medirerraneo, di fronte all'isola di Faro. Il
progetto venne affidato all'architetto Dinocrate; lo portò a compimento Tolomeo
figlio di Lago, prima satrapo, poi re d'Egitto.
L'isola
di Faro, su cui sorse la famosa torre luminosa, fu congiunta alla città con una
diga lunga 7 stadi (1290
metri circa), formando così due porti comunicanti col
Nilo per mezzo di canali navigabili. Già in tempi antichissimi dovette esserci
l'uso di accendere sull'alto delle colline, in prossimità del Lido, dei fuochi
perchè fossero guida ai naviganti.
Si
ritiene, tuttavia, che la prima vera e propria torre-faro, quella che ha dato a
tutte le altre il nome e il modello, sia stata proprio quella di Alessandria
d'Egitto. Architetto ne fu Sostrato di Cnido, figlio di Dexifane,
il quale lavorò sotto i primi due Tolomei. La
costruzione del Faro iniziò probabilmente nel 297 a.C., sebbene in epoca più tarda il cronista Eusebio,
vescovo di Cesarea, che era stato prigioniero in Egitto, citi nella sua Cronaca
la costruzione del faro nell'anno 283 o 282 a.C.. L'inaugurazione ebbe luogo sotto il secondo Tolomeo,
Filadelfo, tra il 280 e il 279
a.C..
Il Faro era stato consacrato a favore dei navigatori agli dei salvatori ("teois soteroi uper ton laixomenon ",
come diceva l'epigrafe dedicatoria, che poteva facilmente essere scorta da
chiunque entrasse o uscisse dal porto), nei quali si devono probabilmente
riconoscere piuttosto che Tolomeo I e Berenice, i Dioscuri,
Castore e Polluce, divinità della luce, splendenti, che i naviganti vedevano,
durante la tempesta, posarsi sulla cima dell'albero maestro: la fiamma del Faro
vista isolata e alta sull'orizzonte, come una stella, sembrava ad essi
l'apparizione della divinità protettrice. Assai presto si diffuse nel mondo
antico la fama della torre luminosa sorta sulla spiaggia dell'Egitto, torre che
in verità era annoverata tra le più colossali costruzioni dei re greci.
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Non
si conosce nulla di positivo sull'origine della parola "faros" che taluni vorrebbero derivare dall'egiziano phaar "tela" (i Greci avrebbero dato il nome pharos all'isola in cui venivano a comprare il phaar); ma è ipotesi poco consistente, tanto più che
finora manca perfino la prova sicura che la minuscola isola fosse la sede di
un commercio considerevole, prima della fondazione di Alessandria.
Fu
Omero nell'Odissea a menzionare Pharos
come un'isola e la situò ad un giorno di vela dall'Egitto. Le fonti di Omero
erano ovviamente piuttosto incerte. La leggenda narrava la storia della bella
Elena giunta in Egitto con Paride, ma quell'isola
in cui non c'era nulla da vedere e i cui unici abitanti erano le foche
l'annoiò.
Dieci
anni dopo vi tornò, accompagnata questa volta dal suo sposo Menelao, che stava rientrando in patria da Troia e che,
spinto fuori rotta da una tempesta, era approdato su quella terra. Menelao - narra la leggenda- incontrò un vecchio e gli
chiese: "Che isola è questa?".
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Il
vecchio rispose che l'isola era del Faraone. Menelao,
che non aveva inteso bene, domandò di nuovo: "Faro?". Al che il vegliardo
rispose affermativamente, ripetendo la parola "Faraone" con l'antica
pronuncia egiziana, che la trasformò in "Prouti".
Menelao interpretò malamente la risposta: questa
volta capì "Proteo", nome che sapeva essere quello della divinità
marina a cui Poseidone aveva concesso il dono della
profezia. Così la pronuncia poco chiara di un vecchio e il qui pro quo di Menelao fecero conoscere al mondo l'isola sotto il nome di Pharos, terra protetta dal nume Proteo. Per di più, tornato
in Grecia, Menelao aggiunse qualche ricamo alla
storia, tanto che le foche, disprezzate da Elena, si mutarono in ninfe che
affollavano la spiaggia. Poco sappiamo intorno all'edificio, dagli antichi
genericamente ammirato a mai sufficientemente descritto, e poichè
tutte le innumerevoli torri luminose che lo presero a modello sono andate
distrutte, quando si eccettui il piccolo faro di Taposiris Magna, alto 17 metri, ancora
superstite a circa 40 Km.
sulla costa occidentale del Delta, per farcene un'idea dobbiamo ricorrere alle
modeste lanterne di terracotta, ai mosaici, tra i quali recente quello scoperto
a Gerasa e alle monete alessandrine coniate sotto Domiziano, Traiano, Adriano,
Antonino Pio, Marco Aurelio e Commodo. In quest'ultime sono evidenti i particolari essenziali
dell'edificio, specialmente i Tritoni, i mostri marini che sappiamo nelle tombe
o nelle conchiglie tortili, riprodotti agli angli della cima del I piano.
Alla base
è raffigurata la porta di ingresso e un'immagine di Zeus Soter
ritto in piedi e munito di un lungo scettro è chiaramente visibile su parecchi
esemplari. Inoltre descrizioni del Faro ricorrono negli scritti di vari autori
classici all'inizio dell'era cristiana, soprattutto in Diodoro Siculo, in Strabone e in Plinio il Vecchio, il quale ci dice che la
torre costò 800 talenti cioè circa 5 miliardi e 200 milioni di lire. Del pari
all'oscuro siamo circa la sua organizzazione e amministrazione nell'età tolemaica,
sebbene sia indubbio che aveva una grande importanza per la vita economica
della città. Durante il dominio romano, Iside ebbe, tra gli altri mille, anche
l'epiteto di Faria e un tempio di questa dea
protettrice della navigazione sorse nell'isola ai piedi della grande torre.
Alla guardia e alla manutenzione del faro, nell'età romana, furono preposti
liberti imperiali. Il sistema d'illuminazione consisteva nell'accendere fuochi
di legno resinoso e grandi torce, oppure nel bruciare oli minerali in vasti recipienti.
La potenzialità ed efficacia della luce, che gli antichi considerarono
stupefacenti, tanta era la distanza, 50 Km. circa, a cui veniva proiettata, erano
accresciute ad intermittenza da enormi specchi concavi di metallo, i quali
sarebbero stati espressamente inventati da Archimede. E' noto infatti che nel I
Medio Evo il Faro trasmetteva alla città di Alessandria messaggi eliografici dalle navi in arrivo. La torre sorgeva
all'ingresso del "megas limen",
sopra un isolotto riunito alla punta nord-est dell'isola di Faro, proprio nel
luogo attualmente occupato dal rovinato forte Qait
Bey (1477-79) che ne copre le fondazioni e le ultime vestigia. Secondo
testimonianze storiche, essa era un vero e proprio colosso, alta quanto un
edificio di 45 piani. La sua altezza infatti doveva aggirarsi intorno ai 120 - 130 metri e, come una
torta nuziale, era composta da tre piani distinti, sempre più stretti. Il I,
alto 60 metri,
aveva una pianta quadrata ed era molto largo. Il II era alto 30 metri e, sempre stando
a racconti e scritti di epoca antica, ricordava molto una torre a sezione
ottagonale. L'ultimo pezzo, di 15
metri, invece era costituito da una vera e propria torre
cilindrica sormontata da un'enorme statua, forse quella di Alessandro il Grande
o quella di Zeus Soter. L'ingresso al monumento non
era al livello del suolo, ma un pò rialzato, al
termine di una rampa di scalini. Si sa che il Faro attraversò diverse epoche
storiche senza grossi traumi e poco dopo l'anno 1000 era ancora in piedi. Ma,
in seguito, gli occupanti musulmani distrussero il 3^ piano del Faro,
sostituendolo con una piccola moschea. Nei tempi che seguirono il Faro cadde in
rovina, fino a trasformarsi in una vera e propria "cava di pietre"
per la realizzazione del forte, già citato, che si erge ancora. Sul Faro di
Alessandria si modellarono le altre torri consimili, innalzate in età
ellenistica e romana, in vari punti del Mediterraneo: esse ebbero in generale
un'altezza minore, furono suddivise in un numero maggiore o minore di piani, ma
il tipo rimane sempre il medesimo. L'ultima possibile raffigurazione del Faro
prima della sua distruzione la troviamo in un mosaico della volta della
cappella di San Zeno in S. Marco a Venezia, databile intorno al 1200. Mostra il
Faro e una nave con l'Evangelista al timone, mentre arriva ad Alessandria per
fondare la chiesa copto-cristiana in Egitto. Ad
Alessandria la memoria del Faro è mantenuta viva da una scultura moderna in
marmo bianco che lo riproduce insieme a Iside Faria,
e accoglie i turisti che entrano nei giardini per visitare le catacombe di Kom-es-Shafur. Per concludere bisogna dire che ora forse
potremo finalmente rivedere una copia di quest'incredibile
monumento: ciò potrebbe accadere infatti se viene dato il via ad un progetto
del governo egiziano per la sua ricostruzione. Con un piccolo enigma da
chiarire: come si farà a conciliare la forma originale del Faro, comprendente
una statua, cioè una raffigurazione umana, con il Corano che, almeno
teoricamente lo proibisce.
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